Festival di Cannes 2011: applausi per Almodovar. L'America di Sorrentino e l'Iran di Panahi


Dopo le polemiche per le dichiarazioni di Lars Von Trier decisamente più rassicurante, ieri, l'arrivo sulla Croisette di Pedro Almodovar con il suo pupillo Antonio Banderas. Con l'attore contentissimo di esser tornato a lavorare, dopo venti anni, con il regista che l'ha scoperto e Almodovar che scherza, ma non troppo, sul suo ruolo di regista:  
"Un regista è ciò che esiste di più dimile a Dio, con tutta un'équipe ai suoi ordini. Il personaggio di Antonio Bandera è molto vicino all'essere lui stesso un creatore, perchè d'improvviso fabbrica pelle artificiale. E' un tipo estremo, uno psicopatico... e io non son esattamente così."

L'accoglienza per il suo nuovo film "La piel que habito" è stata molto calda da parte di critica e pubblico. Decisamente incoraggiante per una pellicola che si discosta fortemente dai suoi successi passati e segna una sorta di svolta per il regista spagnolo verso l'horror. Lo stesso regista l'ha definito nei mesi passati: "un horror senza grida nè spaventi". Decisamente un altro Almodovar che non fa ridere ma crea tanta tensione non dimenticando di essere surreale e grottesco. La storia è quella di un chirurgo plastico che vendica la violenza sessuale subita dalla figlia trasformando il violentatore in una donna con la creazione di una pelle a cui lavorava da tempo. Una sorta di novello Frankestein a cui il regista non smentisce di essersi ispirato. In Spagna uscirà nelle sale a settembre mentre in Italia dobbiamo aspettare il prossimo novembre.


Oggi è la volta di uno dei papabili vincitori della Palma d'Oro e di un regista italiano: Paolo Sorrentino. La curiosità è tanta per vedere come un italianissimo sia riuscito ad affrontare atmosfere americane on the road e a parlare del rock. "This must be the place", infatti, è la storia di una rockstar alla ricerca dei nazisti che confinarono il padre in un lager. Indagine sui rapporti familiari con un Sean Penn che cambia decisamente i suoi connotati.

Fuori concorso arriva il cinema sociale e di protesta con Jafar Panahi, il regista che in Iran è condannato a sei anni di prigione e a non poter lavorare per vent'anni. Nel suo "In Film Nist" (Questo non è un film) il regista, attraverso il racconto della sua vita quotidiana, punta a fare un resoconto sulla situazione del cinema in Iran. Panahi, che naturalmente non può essere presente al Festival, ha mandato un messaggio: 
"Il fatto di essere vivi e il sogno di mantenere intatto il cinema iraniano ci incoraggia a superare le attuali restrinzioni"

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