Su Cinepolis è stato scritto tanto su "Cesare deve morire", film dei fratelli Taviani vincitore dell'Orso d'oro a Berlino: Festival di Berlino, vincono gli italiani premiati da giuria e pubblico - L'intervista a Che Tempo che fa dei fratelli Taviani - Italiani al podio nei festival: Taviani a Berlino, l' "amica" di Maria a Sanremo. Ora che il film è uscito al cinema, è nelle sale dal 2 marzo, di seguito potete leggere le recensioni di stampa, blogger, riviste specializzate. Dite la vostra.
Il film ha vinto il massimo premio al festival di Berlino, e noi
italiani molto contenti, tanto più che è da un bel po' che il nostro
cinema viene ignorato, e non per spudorata cattiveria. Brontolii invece
dai giornali tedeschi e si temeva che potessero avere ragione: per
fortuna no, edè con gran sollievo che si può dichiarare che Cesare deve
morire ci restituisce i grandi Taviani, vuoi con berretto o senza e
comunque indistinguibili, Paolo e Vittorio, ottantenni tuttora
coraggiosi e geniali [...]
Natalia Aspesi su La Repubblica
"Cesare non deve morire" è (anche) la scarnificazione del cinema di genere, riportato su un palcoscenico assoluto, quello di una galera. Il luogo più estremo, dove la libertà è preclusa e restano solo le pulsioni essenziali...“Cesare deve morire” è costellato di immagini potenti. Specie quando la macchina da presa scruta le grate del carcere, o distaccata lo osserva dall’esterno, come se Rebibbia fosse un’astronave atterrata per caso sulla terra [...]
Elisa Battistini su Il Fatto Quotidiano
Incredibile. Se un film vince il micidiale Festival di Berlino, per di più è in bianco e nero, ed è diretto da due mattonatori come i fratelli Taviani, è meglio restare a casa. Invece, il dramma ambientato in carcere, con i detenuti che mettono in scena il Giulio Cesare di Shakespeare, è grande cinema. E che attori: formidabili. Facciamo uno scambio Rebibbia-Cinecittà? [...]
Massimo Bertarelli su Il Giornale
Non pesa la povertà della scena, né l'angustia dei luoghi. Anzi, la regia - sia teatrale, sia cinematografica - trasfigura l'una e l'altra in potenza espressiva e in immediatezza poetica. Chi sono questi uomini che vediamo ridare vita a passioni che hanno attraversato il tempo, e che ora sentiamo come nostre? E come fanno a scendere così nel fondo di quelle passioni? [...]
"Cesare non deve morire" è (anche) la scarnificazione del cinema di genere, riportato su un palcoscenico assoluto, quello di una galera. Il luogo più estremo, dove la libertà è preclusa e restano solo le pulsioni essenziali...“Cesare deve morire” è costellato di immagini potenti. Specie quando la macchina da presa scruta le grate del carcere, o distaccata lo osserva dall’esterno, come se Rebibbia fosse un’astronave atterrata per caso sulla terra [...]
Elisa Battistini su Il Fatto Quotidiano
Incredibile. Se un film vince il micidiale Festival di Berlino, per di più è in bianco e nero, ed è diretto da due mattonatori come i fratelli Taviani, è meglio restare a casa. Invece, il dramma ambientato in carcere, con i detenuti che mettono in scena il Giulio Cesare di Shakespeare, è grande cinema. E che attori: formidabili. Facciamo uno scambio Rebibbia-Cinecittà? [...]
Massimo Bertarelli su Il Giornale
Non pesa la povertà della scena, né l'angustia dei luoghi. Anzi, la regia - sia teatrale, sia cinematografica - trasfigura l'una e l'altra in potenza espressiva e in immediatezza poetica. Chi sono questi uomini che vediamo ridare vita a passioni che hanno attraversato il tempo, e che ora sentiamo come nostre? E come fanno a scendere così nel fondo di quelle passioni? [...]
Robert Escobar su L'Espresso
Non un premio alla carriera, come ha insinuato la stampa tedesca, ma un riconoscimento meritato e in linea con il festival tedesco. Che nulla ha che a vedere con l'età di Paolo e Vittorio Taviani, rispettivamente 81 e 83 anni. E neanche con la tipologia della storia, per qualcuno superata. Bensì un lavoro straordinario e spiazzante, che rielabora uno schema a vantaggio di un'operazione artistica di altissimo livello [...]
Marina Sanna su Il Cinematografo.it
Contrariamente ad altri film sul tema come "Tutta colpa di Giuda" di Davide Ferrario, questo Orso d'Oro dei Taviani continua ad affermare una poetica personale fatta di uso espressivo dei dialetti senza nemmeno prendere in considerazione il linguaggio del teatro. Si guarda alla rappresentazione sul palco come si guarda ad un televisore che trasmette uno spettacolo, con il distacco di un'altra tipologia di racconto [...]
da Ultimociak
Il contrasto più forte è giustamente nella storia stessa: il "Giulio Cesare" è la tragedia che racconta di un grande tradimento, di congiure, di paura, di lotte e di voglia di essere liberi. E chi meglio conosce, facendo proprie, queste situazioni? La capacità di raccontare Shakespeare attraverso il dialetto napoletano, con la sua grande cultura drammatica alle spalle, contrapposta al romano di Cesare (un Giovanni Arcuri che svetta sopra tutti per presenza e prestanza fisica), porta un racconto così lontano nel tempo ai giorni nostri. D'altronde, come dice Salvatore Striano (Bruto): "mi pare che questo Shakespeare sia vissuto tra le vie della mia città" [...]
da Filmscoop
Ci sono realtà molto differenti che ruotano attorno nella galassia del carcere, gli esempi di situazioni di degrado, violenza e miseria sono facilmente tema per articoli di cronaca, reportage sensazionalistici e diventano spesso tema adatto per una fiction legata all’attualità. Esistono però anche esempi di eccellenza, di progetti che offrono una nuova prospettiva a coloro che hanno sbagliato e ora sono costretti a vivere reclusi nell’espiazione della loro colpa [...]
Carlo Prevosti su Cineblog
Il fascino di questo film è non avere pretese nei confronti del pubblico, per vivere e sussistere della densità dei propri attori, delle battute, delle mura del carcere, dei silenzi; ciò che trascina lo spettatore sin dai primi minuti di proiezione non è la ricerca di una storia o la voglia di conoscere cosa ci sia dietro ai personaggi, la bramosia del ficcanasare nella vita altrui [...]
da Il cinemaniaco
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