Recensioni da stampa e web su "The Grandmaster": la rassegna stampa sul film di Wrong Kar-wai che racconta, con la sua potenza visiva, la vita del maestro di Bruce Lee.
The Grandmaster (Biografico - Cina 2013)
di Wrong Kar-wai con Tony Leung, Ziyi Zhang, Chen Chang, Qingxiang Wang, Tielong Shang
Il
film, che come detto, è basato sulla vita di Yip Man, maestro d'arti
marziali Wing Chun e mentore del grande Bruce Lee, si avvale di location
straordinarie (dalla Cina ai Tropici) e della fotografia del francese
Philippe Le Sourd.
L’opera, a tratti affascinante, diventa un gioco meccanico dietro un
acquario, di perfezione certosina, come la navi costruite in bottiglia,
danzando sulla storia come in un musical in cui il ritmo è dato dal kung
fu invece che dal tip tap.
Maurizio Porro su Il corriere della sera
Wong Kar Wai ha impiegato quattro anni a realizzare il suo film di kung
fu: e, alla fine, si tratta di un film d’amore appena mascherato, più
somigliante a In the mood for love che a una classica pellicola di arti
marziali. Il personaggio centrale è la fanciulla, interpretata dalla star cinese
Zhang Ziyi. Splendidi, benché ridotti di numero rispetto ai canoni del
cinema di arti marziali, i duelli coreografati da Yuen “Kill Bill” Wo
Ping.
Roberto Nepoti su La Repubblica
Sia che si tratti di amore, sia che si tratti di arti marziali, nel
cinema di Wong Kar-wai è sempre questione di “mood”, ovvero di
incastonare fluttuanti stati d’animo in istanti di struggente bellezza. La visionaria poesia delle immagini permeata della nostalgia del passato perduto è quanto basta a renderlo imperdibile.
Alessandra Levantesi su La Stampa
The Grandmaster è la trappola nella quale Wong Kar-wai è caduto,
scavandosi da solo la fossa.(…) la narrazione a buchi risulta
particolarmente appesantita dalla destrutturazione dei singoli frammenti
ed episodi. Ed qui che a nostro avviso il film diventa inaccessibile(…)
La coreografia, la scenografia, i costumi, la musica, la fotografia si
trasformano in armi chimiche per la distruzione della stessa scena che
viene così molestata da un montaggio frammentario e frammentato..
Dario Zonta su L'Unità
Il film, che abbraccia quattro decenni, ha grande impatto visivo e
emotivo, ma risulta troppo pretenzioso. A volte confusa, a volte
sublime, la pellicola racchiude il meglio (meno) e il peggio (più) del
regista cinese. Trama difficile da seguire con personaggi spesso
abbandonati a se stessi. Dura due ore, spesso interminabili.
Maurizio Acerbi su Il Giornale
Un mix scintillante di coreografie, azione esplosiva e di emozioni
represse, ma sarebbe potuto utilizzare più lavoro sulla coerenza del
tono e sullo sviluppo del personaggio.
Clarence Tsui su Hollywood Reporter
Nell’abbracciare quasi un ventennio – dal 1936 al 1953 - di
vicissitudini personali, trasformazioni sociali e rivolgimenti politici,
il regista non si limita a isolare gli episodi salienti, ma riesce
sempre ad estrarre dai singoli eventi un riflesso della totalità: c’è
più verità in un bottone strappato a un vecchio cappotto e passato di
mano, che in una guerra mondiale; più emozione in un fugace incontro di
sguardi che in tante storie d’amore bagnate di lacrime e retorica.
Gianluca Arnone su cinematografo.it
Wong Kar Wai (dopo 8 anni di preparazione, l'avvio delle riprese nel
2009 e il completamento della post produzione all'ínizio del 2013)
trova in questa storia un'occasione per una sintesi del proprio
modo di fare cinema. I suoi film elevano all'ennesima potenza il gioco
di luci ed ombre che percorre le esistenze sia sul piano formale che su
quello delle vicende portate sullo schermo. Il piacere (talvolta di un
estetismo un po' fine a se stesso) che pervade ogni singola inquadratura
trova ora nei gesti dell'arte marziale un universo da esplorare in cui
la violenza si esprime attraverso l'arte, un'arte che è frutto di lungo
tirocinio.
Giancarlo Zappoli su mymovies.it
The Grandmaster è un film, che sin dai sorprendenti titoli di
testa, sfalda con un morphing inesorabile quella relazione tra immagine e
memoria che con In the mood for love era ancora
agganciata alle amnesie Resneis-iane, collocandola in una dimensione
post-digitale, dove l’immagine è corpo e il corpo immagine.
Michele Faggi su indieeye.it
La cinepresa di Kar-Wai supportata dalla filosofia del kung-fu trasforma l'odio per il nemico in una lotta armoniosa in cui la bellezza dei colpi inferti restituisce dignità ai duellanti spesso mossi da bassi istinti. Se la trama non entusiasma, colpa probabilmente di un montaggio che ha sottratto molto alla storia e all'evoluzione dei personaggi, visivamente il film rasenta la perfezione anche grazie ad una fotografia superlativa e per questo, Wrong Kar-wai non possiamo che incoronarlo Gran Maestro.
Riccardo Muzi su ecodelcinema.com
Ogni immagine è composta con quel gusto estetico che sempre
contraddistingue Wong Kar-wai, fotogrammi come quadri, splendidamente
ripresi da Philippe Le Sourd, mentre scorrono le belle musiche di Shigeru Umebayashi, che nello struggente finale riprende il Morricone di C'era una volta in America. La sceneggiatura spesso non spiega con precisione (consigliamo una
veloce scorsa della vita di Ip e della storia della Cina di quegli
anni), mentre un montaggio non lineare rende confuse alcune situazioni,
prive di datazione. Ne esce un film comunque fascinoso..
Giuliana Molteni su moviesushi.it
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