Le recensioni de "Il passato" (The Past) di Asghar Farhadi presentato a Cannes 2013 con Bèrènice Bejo ("The Artist") e Tahar Rahim ("Il profeta").
IL PASSATO (Drammatico - Francia 2013)
di Asghar Farhadi con Bérénice Bejo, Tahar Rahim, Ali Mosaffa, Pauline Burlet
Il
regista iraniano premio Oscar per "Una separazione" ci porta dentro un
thriller dove una donna iraniana che vive a Parigi sta per farsi una
nuova vita e sta per chiedere il divorzio dal marito che l'aveva
abbandonata insieme ai suoi due figli. L'ex marito, però, torna in
Francia dall'Iran e non sa che la donna ora ha un nuovo compagno più
giovane.
Intimista la fotografia di Mahmoud Kalari, di intonata naturalezza gli
interpreti – a partire dalla Berenice Bejo di The Artist in una
prestazione asciutta e interiorizzata – e splendida la sceneggiatura.
Alessandra Levantesi su La Stampa
Farhadi costruisce i film meravigliosamente, calando i ogni dialogo
informazioni che portano avanti la trama e piccoli misteri che creano
una suspence psicologica degna di Hitchcock. Infine gli attori, tutti
stupendi: Ali Mossafa, Bérénice Béjo, Tahar Rahim e il solito,
bravissimo Babak Karimi che, vivendo in Italia, è anche il curatore del
doppiaggio nella nostra lingua. In due parole: grande film. Altre due
parole: da vedere.
Alberto Crespi su L'Unità
Fabio Ferzetti su Il Messaggero
Il passato arpiona sempre il presente. E’ il filo conduttore del
nuovo film dell’autore del bellissimo premio Oscar Una separazione. (…)
Un gran bel film, ottimamente interpretato.
su Il Giornale
Le passè è tout court un film di Farhadi. Ne conferma la
precisione nella scrittura, l'abilità nel costruire personaggi ad alto
tasso d'empatia, la sagacia nell'addensare attorno a un nucleo primario -
lo potremmo chiamare: l'evidenza di un fatto - nuove e ulteriori
rivelazioni che, anziché chiarire, annebbiano il giudizio, sfumano i
contorni delle cose, contraddicono verità prima accertate. Questo
onnipresente motivo pirandelliano si sposa a una messa in scena
rigorosa, costruita sul conflitto tra primi piani, la continua
reversibilità delle soggettive e l'attrazione per le superfici divisorie
e riflettenti (porte a vetro scorrevoli, finestre, porte). La suspense
non decolla come altre volte, ma il film resta pervaso da un
presentimento angoscioso, il sentimento molle di un'imminente sciagura. E
cresce alla distanza, regalandoci uno dei più bei finali visti fin qui.
Un finale alla Farhadi.
Gianluca Arnone su ilcinematografo.it
Asghar Farhadi è un maestro del dettaglio apparentemente insignificante
che è mostrato in seguito come fondamentale, e della gestione di
situazioni semplici che si rivelano, con lo sviluppo della narrazione,
imprevedibili. Queste caratteristiche non inficiano assolutamente la
fruizione dell'opera, che, grazie alla cura della messa in scena e delle
performance, è avvincente dal primo fotogramma, e anzi l'avvincendarsi
sorprendente delle prospettive rende l'esperienza del film sempre più
affascinante.
Alessia Starace su movieplayer.it
Farhadi intesse una rete di incontri/scontri verbali che
stravolgono repentinamente la nostra prospettiva sui fatti, svelando la
natura sfuggente e multiforme di una verità che, in effetti, non è mai
univoca, ma cambia o evolve attraverso gli occhi dei personaggi.
Lorenzo Pedrazzi su spaziofilm.it
I dialoghi intensi, la qualità della composizione dell'inquadratura, la
fiducia nel tempo cinematografico, la capacità di ritagliare uno spazio
efficace dal punto di vista estetico, l'importanza dei bambini che si
risolve in uno spontaneo intento pedagogico, l'adozione sempre
tranquilla delle scelte stilistiche, fanno del cinema di Asghar Farhari
una ricerca, carica di sensibilità sociale, perfettamente riuscita, del
rapporto tra l'individuo ed il mondo del quotidiano.
Rosalinda Gaudiano su cinema4stelle.it
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