Rassegna stampa "Il tocco del peccato", recensioni da stampa e web

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"Il tocco del peccato" (clicca qui): 4 storie brutali della Cinema moderna dal regista del Leone d'Oro "Still life". Di seguito recensioni da stampa e web sul film ora nelle sale.


IL TOCCO DEL PECCATO (Drammatico - Cina 2013)
di Jia Zhang-Khe con Zhao Tao, Jiang Wu, Wang Baoqiang, Lanshan Luo
Quattro storie diverse, impercettibilmente legate tra loro, che raccontano della nuova Cina, all’indomani dell’incontrollato e rapido progresso che sta trasformando il paese. Il tema centrale del ‘peccato’, in tutte le sue forme, si declina attraverso l’esasperazione dei protagonisti e la violenza delle loro reazioni. Un minatore pieno di rabbia si ribella alla corruzione dei capi villaggio. Un emigrante di ritorno a casa per il Capodanno scopre le infinite possibilità offerte da un’arma da fuoco. La graziosa receptionist di una sauna è spinta oltre ogni limite quando viene molestata da un ricco cliente. Un giovane operaio cambia lavoro nella speranza di migliorare la sua vita. Quattro persone, quattro diverse regioni. Una riflessione sulla Cina contemporanea: come un gigante dell’economia viene lentamente corroso dalla violenza. 


Lo stile della rappresentazione resta perfettamente controllato ed elegante, le inquadrature sono composte con cura, i movimenti di macchina misurati e precisi nella preziosa fotografia del cinematographer di fiducia del regista, Yu Lik-wai. La descrizione del devastato panorama morale della Cina di oggi lascia sbalorditi e amareggiati, mentre alcune scene emblematiche si installano nella mente dello spettatore. Come quella del night in cui una squadra di belle fanciulle in (succinte) uniformi da Guardie Rosse sfila davanti ad anziani clienti tra il divertito e l’eccitato. Un modo duro di dirci come è finita quella rivoluzione maoista che un tempo ebbe sostenitori entusiasti anche in Occidente. 
Roberto Nepoti su La Repubblica

L’ambientazione è interessante, il cineasta abile a giocare queste sordide storie ispirate alla cronaca su un filo di brechtiana ironia: ma stavolta l’affresco risulta meno incisivo e la corda emozionale non scatta.
Alessandra Levantesi su La Stampa

Lirico, pulp, commosso, crudele. Bellissimo. E molto ambizioso: un film solo per abbracciare in un unico sguardo la nuova Cina.
Fabio Ferzetti su Il Messaggero

E’ un film importante e maestoso, capace di calarsi nel ventre della Cina contemporanea e delle sue contraddizioni. (…) Jia Zhangke traduce, a modo suo e con grande coerenza, la tradizione del film d’arti marziali ( cui si ispira) e la usa come sfondo estetico per raccontare le contaddizzioni della Cina contemporanea. Meraviglioso e inquietante.
Dario Zonta su L'Unità


Il suo A touch of sin è abbastanza lontano dai toni e ritmi compassati delle opere precedenti come Still Life e The World, vira verso lidi più commerciali, non disprezza l'uso di un po' di umorismo...Sacrificando un po' di rarefazione per un pugno di ritmo Jia Zhangke riesce a dire qualcosa forse ad un pubblico più ampio e con una potenza semplice e diretta che comunque rimane prerogativa del cinema migliore. 
Gabriele Niola su mymovies.it 

Zhang-ke ancora una volta ha voluto stupire, portando sullo schermo una pellicola coraggiosa, spiazzante, che riflette la realtà più recondita del proprio Paese e che si può annoverare tra le migliori dell’anno che si sta per concludere.
Alice Bianco su voto10.it

E’ un panorama realistico e crudele di una nazione in rapido sviluppo, un boom economico pagato sia con una gestione dittatoriale del potere e sia con l’accrescersi di contradizioni sociali già enormi. Il film inanella immagini bellissime, in cui anche le situazioni più degradate assumono toni pittorici. Un’opera di grande respiro che offre la possibilità di letture plurime.
Umberto Rossi su cinemaeteatro.com

La gran sapeienza registica di Jia Zhang-ke, il suo condurre il film con piglio robusto cavandone un quadro impressionante e perfino possente di una Cina corrosa dall’industrializzazione, dalla ricchezza (per pochi ancora), dalle disuguaglianze, dal consumismo anche questo diseguale. Certe scene non si dimenticano. Quelle arance rovesciate sull’asfalto che all’inizio metaforizzano già quello che poi vedremo lungo il racconto. Quel bordello per ricchi con le ragazze abbigliate da guardie rosse discinte. Prove che ci troviamo di fronte a un’opera di rispetto, che però ahimè non risce a farsi amare (almeno da me).
Luigi Locatelli su nuovocinemalocatelli.it

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