Rassegna stampa "Prisoners", recensioni da stampa e web sul thriller con Hugh Jackman in una storia di tortura e vendetta.
PRISONERS (Thriller - Usa 2013)
di Denis Villeneuve con Hugh Jackman, Jake Gyllenhaal, Viola Davis, Maria Bello
Un
doppio sequestro, due bambine di due famiglie amiche, e la voglia di
farsi giustizia da solo da parte di uno dei genitori (Hugh Jackman,
Wolverine). Il detective Loki ( Jake Gyllenhaal) ha un unico indizio, un
vecchio RV, che lo porta a sospettare del conducente Alex Jones (Paul
Dano)...non ci sono prove e viene rilasciato. Da quel momento Keller
Dover, il padre di famiglia, decide di rapirlo e torturarlo per
ritrovare le bambine...
Diretto dal canadese Denis Villeneuve, un thriller nella linea di
precedenti illustri come
Il silenzio degli innocenti, Zodiac, Mystic River. L'atmosfera, malata e
perturbante, ti coinvolge procurandoti un senso di malessere. Bella la
fotografia in toni omogenei di Roger Deakins; intense le interpretazioni
di Jackman, il padre, e Gyllenhaal, il poliziotto depressivo, entrambi
in odore di candidatura agli Oscar.
Roberto Nepoti su La Repubblica
Villeneuve orchestra un thriller da non perdere dove tutto il cast
(Melissa Leo, Maria Bello, Paul Dano, Viola Davis) obbedisce all’emotiva
riuscita di un film che fa pensare ai classici della paura, da M a
Zodiac.
Maurizio Porro su Il Corriere della Sera
Sulla validità della loro interpretazione concordiamo, ma del film siamo
meno convinti: il canadese Denis Villeneuve, regista del pregevole La
donna che canta, indugia troppo nelle note cupe del melò (notevole la
plumbea fotografia di Richard Deakins) senza mai pervenire a un
confronto drammaturgicamente convincente dei personaggi; e il plot
giallo vero e proprio non è costruito con sufficiente perizia, tanto che
lo spettatore aduso al genere non manca di capire l’arcano assai prima
dei protagonisti.
Alessandra Levantesi su La Stampa
Pellicola spettacolare e mai banale che offre a Jackman il ruolo più
intenso di una carriera prigioniera del supereroe Wolverine. Thriller
per adulti. Finalmente.
Francesco Alò su Il Messaggero
Un film attraversato da una fede che sembra sgretolarsi davanti
all’irrompere del male. Una pellicola coraggiosa e inusuale, ottimamente
interpretata e diretta (…) Un thriller intenso, cupo, disturbante e
non banale, che gioca a rimpiattino con la nostra coscienza.
Esordio hollywoodiano esplosivo quello del franco-canadese Denis Villenueve (suo il bellissimo La donna che canta).
Da maneggiare con cura, di mezzo ci sono i più piccoli. La cronaca è
nei paraggi (l’orco di Cleveland), ma l’ottimo script di Aaron
Guzikowski non ci specula. Prisoners alimenta il proprio fuoco
prospettico metabolizzando psicodrammi, colpi di scena, sottotesti
politici. Due ore e mezza che tengono inchiodati alla poltrona (grazie
anche al prezioso lavoro dei montatori di Eastwood, Joel Cox e Gary D.
Roach), mentre passano in rassegna sciagure familiari, segreti
indicibili, squallore urbano.
Gianluca Arnone su cinematografo.it
Prisoners è l'amara parabola di una nazione che si domanda
ancora se la tortura sia un mezzo accettabile per estorcere informazioni
"indispensabili alla sicurezza nazionale", e che insegue una verità
sempre più sfuggente e sempre meno assoluta. Non è un caso che il
simbolo al centro della trama sia un labirinto senza apparente via
d'uscita. E la componente perturbante del film, sempre pronta a
sconfinare in zona horror, rimane dentro ben dopo la visione.
Paola Casella su mymovies.it
Denis Villeneuve ha il piglio dell’autore essenziale ma risoluto,
imbastisce un lento ma inesorabile crescendo emotivo e riesce a
mantenere alta la tensione per tutti i 150 minuti del film, gestore
rigoroso dello stile e di un ritmo ansiogeno e sinistro, oltre che
ottimo direttore di attori. Su tutti spiccano Hugh Jackman e Jake Gyllenhall, convincenti e vibranti in due ruoli solo all’apparenza agli antipodi, ma un plauso lo meritano anche Paul Dano e l’ambigua Melissa Leo, straordinaria trasformista di costante e lodevole efficacia.
Marco Valerio su spaziofilm.it
Ci vuole solo pazienza per arrivare fino in fondo e capire che la storia
c'è, è ben sviluppata (forse sarebbe parsa ancora migliore in lingua
originale) e che i personaggi non cadono nel tranello dell'essere troppo
buoni o troppo cattivi, perchè molti di loro (Keller più degli altri)
sperimentano più prospettive di una tragedia: vittima, spettatore,
carnefice, rimanendo generalmente sempre credibili. Il ritmo della
sceneggiatura, lento e costante per la maggior parte del film,
centellina informazioni poco alla volta e accelera nell'ultima parte,
quando sia Keller che Loki si rendono conto di una verità fondamentale e
diversa per ciascuno di loro.
Paolo Ottomano su cinema4stelle.it
Prisoners si pone esplicitamente come racconto morale,
inducendo in noi spettatori qualche riflessione utile e per niente
banale sul confine sottile e facilmente valicabile che divide l’uomo
civilizzato dal barbaro. A convincere di meno è quando imbocca la stada del thriller più di genere, nella sua versione maniaco-serial thrriller. Se Prisoners sifosse liberato di certe convenzionalità di
racconto sarebbe potuto diventare un gran film. Non lo è, ma resta
qualcosa di abbastanza anomalo per il cinema di questi tempi e
assolutamente meritevole di una visione.
Luigi Locatelli su nuovocinemalocatelli.com
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