Rassegna stampa del film "La gabbia dorata", recensioni da stampa e web sul sogno americano di tre adolescenti del Guatemala e del loro tentativo di passare la frontiera messicana. Il primo film di Diego Quemada, assistente e allievo di Alejandro Gonzalez Inarritu ("21 grammi", "Biutiful", "Babel").
LA GABBIA DORATA (Drammatico - Messico 2013)
di Diego Quemada-Diez con
Ramón Medína, Rodolfo Dominguez, Carlos Chajon, Karen Martínez
Juan, Sara e Samuel, 15 anni, fuggono dal Guatemala tentando di arrivare
negli Stati Uniti. Durante la traversata del Messico, incontrano Chauk,
un indio che non parla spagnolo e sta viaggiando senza documenti. I tre
adolescenti aspirano a una vita migliore oltre la frontiera messicana,
ma presto dovranno affrontare problemi imprevisti.
Molto notevole davvero il film di Diego Quemada-Diez. Spagnolo trasferitosi negli Stati Uniti, forte di esperienze - alla fotografia - con Loach per Terra e libertà, con González Iñarritu per 21 grammi, con Fernando Meireles per The Constant Gardener. Qui al primo film. Ci pare di precipitare nel passato remoto oppure in una di quelle fantasie su un futuro miserabile e repellente che vanno tanto di moda. Invece siamo nell’ordinaria amministrazione del sogno di riscatto che tanti giovani provenienti dalla miseria di Guatemala e Honduras, Nicaragua e Salvador coltivano salendo clandestinamente su un treno merci.. Echi tanti (da The Millionaire all’epopea della Grande Depressione) ma con personalità.
Paolo D'Agostini su La Repubblica
Vero come un documentario, emozionante come un romanzo di formazione,
lirico e avventuroso come l’Odissea, epico come un film di John Ford. E
intessuto di storie e esperienze reali che il regista (esordiente) ha
raccolto facendo più e più volte il cammino dei suoi personaggi, tra
Guatemala e la frontiera degli Usa.
Fabio Ferzetti su Il Messaggero
Ecco questo è il cinema che vorremmo vedere, il cinema del futuro,
capace di riempire lo schermo con la potenza di immagini inusitate e non
addomesticate, attraverso una storia che commuove e trasforma le nostre
coscienze.
Dario Zonta su L'Unità
Doloroso dramma sull’immigrazione, che racconta, senza ipocrisie né
lacrime facili, il tormentato viaggio di tre ragazzini alla ricerca di
un irraggiungibile sogno (…) Bravi i tre protagonisti, peccato che
avranno ben pochi testimoni.
Film di cammino e scoperta – realizzato coinvolgendo reali masse di migranti nelle scene a bordo dei treni merci – La gabbia dorata
(definizione con cui vengono identificati gli Stati Uniti, luogo che si
tenta di raggiungere con il sogno del guadagno e che, da clandestino,
non ti consente più di uscirne, ammesso che qualche cecchino ben
appostato non ti abbia seccato appena messo piede al di qua del
confine…) non è semplicemente un inno all’abbattimento delle frontiere,
né un classico romanzo di formazione. Alla base di tutto, certo, c’è
l’affermazione di un principio – quello che antepone l’essere umano al
migrante e, in quanto essere umano, mai “clandestino” in nessun luogo
del mondo – ma Quemada-Diez insiste anche sull’importanza delle origini,
da non svilire mai neanche di fronte al miraggio di un luogo che possa
regalare una vita migliore.
Valerio Sammarco su cinematografo.it
Già dalla scelta di girare in Super 16, risulta chiara la volontà di
avvicinarsi a una vibrazione dell'immagine d'impianto documentario
oppure, ancor meglio, a una ricostruzione affidabile di una storia che
ne racchiude mille altre simili, tutte autentiche. Dentro a una rigorosa
organizzazione degli spazi, restituita da una direzione artistica secca
e severa, si muovono tre attori adolescenti coi quali lo spettatore
instaura subito una forte empatia: anche le evoluzioni dei loro
rapporti, dall'iniziale avversità che il risoluto Juan prova verso Chauk
fino al totale ribaltamento, stanno a sottolineare l'importanza della
condivisione, della solidarietà, il falso mito dell'individualismo.
Marco Chiani su mymovies.it
Se il cinema è una finestra aperta sul mondo, La gabbia dorata di
Diego Quemada-Diez ci mostra qualcosa da cui forse vorremmo distogliere
gli occhi, ma che sarebbe dovere di tutti conoscere. È cinema della
realtà, cinema autentico, girato tra persone vere, dentro situazioni
concretissime, dove la macchina da presa ritrova una delle sue funzioni
primarie: mostrare qualcosa che non si conosce, alzando il sipario su un
mondo ignorato.
Paolo Mereghetti da stanzedicinema.com
Il forte contrasto tra un'umanità che si muove disperata, sudicia ed
affamata e paesaggi incantevoli , rassicuranti, illuminati dalla tersa
luce di un giorno forse traditore, costituiscono la metafora della vita
in continua evoluzione. Il viaggio è un rito iniziatico, un diventare se
stessi, una sfida all'annichilimento e all'assuefazione. Il treno,
metafora del progresso, trasporta lontano queste masse umane, schiavi di
un sistema che si dichiara difensore della democrazia e della libertà.
L'eccellente lavoro di regia e sceneggiatura è ancor più valorizzato da
una recitazione, a tratti commovente, dei quattro coraggiosi
adolescenti, attori non professionisti ed una fotografia che toglie il
fiato.
Rosalinda Gaudiano su cinema4stelle.it
Se si esclude il vizio di ingenuità nel rappresentare la frontiera con
qualche semplificazione di troppo e un eccesso di sintesi nel riassumere
in poche esplicative sequenze il divario fra la condizione guatemalteca
e il “sogno americano”, l’opera di esordio di Diego Quemada-Díez è,
prima ancora che una storia d’emigrazione, un viaggio affascinante che
al suo termine è in grado di lasciare lo spettatore con una sensazione
positiva che somiglia molto alla speranza.
Aurora Tamigio su silenzioinsala.com
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