"12 Anni Schiavo": recensioni da stampa e web del candidato Oscar di Steve McQueen con Michael Fassbender

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Rassegna stampa "12 Anni Schiavo", recensioni da stampa e web del film di Steve McQueen candidato agli Oscar e storia vera di schiavitù con Michael Fassbender.


12 ANNI SCHIAVO
Drammatico, Biografico - Usa 2013
di Steve McQueen con Chiwetel Ejiofor, Michael Fassbender, Benedict Cumberbatch, Brad Pitt
Storia vera tratta dall'autobiografia di Solomon Northup: un uomo nero libero che viene rapito a Washington nel 1841 per essere portato da schiavo a lavorare nelle piantagioni della Louisiana per ben dodici anni.


La sapienza del regista è quella di darci un’opera di fattura classica, per attanagliarci alla sorte di Solomon: che non vuole solo sopravvivere, ma tornare a vivere nella libertà. Sulla bella faccia di Chiwetel Ejofor passano tutti i sentimenti dal dolore alla speranza, dal sentirsi schiavo come gli altri ma anche uomo libero, che deve nascondere di saper leggere e scrivere per non essere ucciso.
Natalia Aspesi su La Repubblica

Il film, pur nella magnificenza della confezione e nell'indubbio impatto emotivo della storia raccontata, è quanto di più ricattatorio e manicheo si sia mai visto sull'argomento. Al cinema e altrove (…) L’altro problema è strettamente estetico. 12 anni schiavo è visibilmente bello. Molto bello.
Alberto Crespi su L'Unità

Il film non emoziona come ci si potrebbe e dovrebbe aspettare. Mc Queen sembra più interessato ad allestire scene che a farle vivere, privandole di un’anima, tradito anche da un protagonista poco empatico. Questo non vuol dire che non vincerà gli oscar.
Maurizio Acerbi su Il Giornale

Un forte, coinvolgente storia di vita straordinariamente esagerata.
Todd McCarthy su Hollywood Reporter

Non sarai in grado di infilare questa polveriera in un angolo della tua mente e dimenticare. Quello che abbiamo qui è un brillante, straight-up classico.
Peter Travers su Rolling Stone


Alla sua terza prova dietro la macchina da presa, McQueen sembra estremizzare i difetti già presenti in Shame, convinto che l’importanza del tema e l’emotività della storia possano sorreggere le sue ambizioni e dare senso alla costante tensione alla rarefazione che contraddistingue il film, e che scivola nelle patinature di chi è fin troppo consapevole dei propri mezzi.
Federico Gironi su comingsoon.it 

Per quanto i fatti siano estremi, per quanto le sofferenze insopportabili, sono però pochi i momenti in cui la storia di Salomon evolve, la maggiorparte del film è “soltanto” una testimonianza del trattamento al quale venivano sottoposti gli schiavi. Non mancano ovviamente i momenti di grande interesse, ma si ha come l’impressione che la tanto agognata ricerca della libertà da parte del protagonista sia quasi piegata alla rassegnazione. Ed è qui che la parabola di interesse cede, tenuta in piedi soltanto da un cast formidabile e dalla bravura del regista.

Temi ostici da affrontare nella loro antinarratività, e quasi impossibili da proporre al grande pubblico delle sale cinematografiche: non per nulla a McQueen è riuscito di diventare, con tre sole pellicole, uno dei cineasti in attività più universalmente ammirati. La coerenza, il coraggio, la spiccata personalità nel suo cinema vanno di pari passo con il suo formidabile talento visivo, e il cinema d'impegno non è mai stato tanto bello e potente. 
Alessia Starace su movieplayer.it

Lungo e a tratti involuto, forzato in alcuni punti, completamente affidato a un ottimo Chiwetel Ejiofor - sicuramente piu' a suo agio con una gestione trattenuta delle emozioni che con le scene piu' esplicite, coerentemente con una passivita' generale del suo personaggio, testimone dell'orrore che gli si sviluppa intorno - non supportato quanto ci saremmo aspettati dalla presenza del vecchio amico del regista, Michael Fassbender.
Mattia Pasquini su film.it

Non tutto scorre perfettamente. Dopo aver concesso tempo in abbandonanza al dipanarsi dei fili narrativi, il finale arriva precipitoso e preconfezionato. Si avverte un po’ di affanno nell’esigenza di coniugare il resoconto realistico di un episodio storico (siamo lontani anni luce dal Django tarantiniano), occupato da svariati caratteri e personaggi (da confrontare con il balletto a due di fratello e sorella in Shame), con le idiosincrasie di un regista cosi’ ingombrante. Il risultato e’ un affresco ibrido, personalissimo e dall’equilibrio altalenante, un oggetto imperfetto e affascinante.
Sonia Bonicalzi su indie-eye-it


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