Lo strano paradosso è che Paolo Sorrentino viene definitivamente sdogantato e si apre a tutti, grazie all'Oscar, proprio con il film meno accessibile a tutti. Tutti quelli che lo acclamano, non avendolo visto o avendone visto frammenti, stasera in tv potranno dire che l'hanno visto e dopo pochi minuti diranno a chi gli sta affianco "che palle" ma, fuori, ne continueranno ad esaltare le doti perchè il film diventerà come la partita del mondiale 82, come la pizza e il colosseo...un simbolo.
Dicevamo il film meno accessibile ma, non per questo, il più bello e compiuto di Sorrentino. Il precedente "This must be the place", snobbato dagli americani e dal box office, è molto meglio ed è la prosecuzione di un lavoro del regista che l'ha portato a una svolta internazionale. Ne "L'amico di famiglia" ha saputo rappresentare realtà come quella della costa laziale e dell'agro-pontino come se sembrassero far parte di qualche desolante regione americana tipo Ohio. La sua bravura è nello sguardo, nei punti di vista con cui si guarda la realtà che la macchina da presa nelle sue mani riesce a esaltare, addolcire o inquietare come pochi. Visivamente fenomenale e colonne sonore (da grande amante della musica) sempre sul pezzo...tra l'altro grande intenditore e chi si scorda che ha fatto partecipare in "This must be the place" (titolo di una candone dei Talking Heads che ritirando l'Oscar ha citato come fonte di sua ispirazione) David Byrne.
La Grande Bellezza rappresenta un involucro di rarefatta, leggendaria, luminosa, antica, bellezza (appunto) ma dall'interno marcio, decadente, da fine impero. L'interno di un'Italia senza voglia di vivere e da aspiranti suicidi (anche per questo non piace e non piacerà alla maggior parte degli italiani non consci della decadenza e poco propensi all'eutanasia). La pellicola meno compiuta di Sorrentino che piace all'estero perchè conoscono meglio di noi Fellini e Visconti. A noi italiani basta Checco Zalone, Moccia, Brizzi, Pieraccioni...noi siamo contenti così. Un gran bel film che non mi ha convinto del tutto, avendo visto tutti gli altri, ma che, immagino, Sorrentino si sia divertito un mondo a girare. E' l'arte per l'arte, sfoggio di maestria da cinepresa e fotografia. Rarefatto, grottesco, surreale e aspro....Sorrentino, stavolta, ha svoltato con l'arroganza dell'arte e del suo protagonista Toni Servillo.
E anche come dicevo se non mi ha convinto fino in fondo ben venga l'arroganza di Sorrentino (che finora ha fatto film, tutti, di rara bellezza), ben venga l'arroganza dell'arte contro l'arroganza dell'italiota modo di guardare e leggere...finalmente si prende una rivincita e la cosa più surreale è proprio quelli che non apprezzano modo di fare cinema (se non fosse perchè non hanno mai visto un suo film) saranno i primi ad esaltarne le doti.
Sabato Romano
Vi lascio con i Talking Heads, "This must be the place"
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