"Jimmy P", opera americana del francese Arnaud Desplechin con Benicio Del Toro, forse è uno dei film più "guardabili" tra le nuove uscite di questo week-end ma, attenzione, molto cerebrale...in alcuni casi può provocare emicranie. Per saperne di più di seguito la rassegna stampa con recensioni da stampa e web di "Jimmy P".
Drammatico, Biografico - Usa 2013 - Di Arnaud Desplechin con Benicio Del Toro
Un
reduce indiano della seconda guerra mondiale che comincia a soffrire di
strani malesseri non spiegabili dal punto di vista fisico. Tratto dal
libro di Georges Devereux, "Psychotherapy Of A Plains Indian".
Jimmy P. è il resoconto del rapporto, professionale e umano, tra i due uomini, diversissimi tra loro. Se le intenzioni sono serie e gli attori bravi (sensibile come sempre Amalric, molto più sobrio del consueto Del Toro), il film risulta però cerebrale, è costruito quasi unicamente sui dialoghi e potrebbe deludere le aspettative del pubblico non particolarmente disponibile alle esplorazioni dell’inconscio.
Roberto Nepoti su La Repubblica
Jimmy P. racconta con leggerezza e profondità un caso clinico
dall'immensa portata metaforica, senza mai sfiorare la retorica del
biopic e dei film in costume di questi anni. Ed è questo, a ben vedere,
il primato più invidiabile.
Fabio Ferzetti su Il Messaggero
Jimmy P., aveva tutto, sulla carta, per essere il famoso salto di
qualità: ma è uno di quei film assai più stuzzicanti quando se ne legge
il soggetto, che quando li si vede sul grande schermo.
Alberto Crespi su L'Unità
Dopo quasi due ore di sfibranti chiacchiere, il terribile mal di testa
di cui soffre il protagonista, viene trasmesso, quasi per contagio, allo
spettatore.
C'è qualcosa in Jimmy P. che commuove profondamente, qualcosa che ancora una volta avvicina il cinema di Arnaud Desplechin a quello di François Truffaut. Qualcosa che trova la verità della persona e del personaggio, qualcosa di personale che l'autore ci dona senza che sia mai evidente. Di Truffaut il western freudiano di Desplechin ha pure il gusto della ricostruzione storica discreta, che serve ad accedere all'intimità timida del protagonista.
Nonostante l'ottima prova dei due protagonisti, infatti, e gli sforzi di
strutturare la sceneggiatura, il racconto manca inevitabilmente di
tensione narrativa. Per chi vorrà lasciarsi incantare solo dalle
conversazioni, dalla confessioni e dalle interpretazioni, tuttavia, una
pagina affascinante della storia della psicanalisi è a portata di mano
grazie ad Arnaud Desplechin.
Alessia Starace su movieplayer.it
Manca la storia, manca un racconto avvincente. Risulta molto datato
anche il ricorso del terapeuta a tecniche vetero-freudiane parecchio
logorate, come le associazioni libere, o l’interpretazione dei sogni.
Cose che il cinema faceva molto bene, e molto credibilmente, negli anni
Quaranta e Cinquanta quando appunto in America il sapere psicanalitico
esplose..Oggi tutto sembra frusto e polveroso, e poco credibile ahinoi. Jimmy P.
parte da buonissime intenzioni e ottime premesse per approdare a
qualcosa di deludente. Benicio Del Toro (il paziente) e Mathieu Amalric
(l’antropologo) sono ovviamente bravi, ma non basta.
Luigi Locatelli su nuovocinemalocatelli.com
Impariamo che c'è una bella differenza tra l'esser matti, e soffrire a
causa delle ferite che si porta dietro l'anima, ma l’istruzione passa da
una messa in scena senza guizzi, monocorde e riscattata solo in parte
dalla performance dei due attori protagonisti (sottile e monosillabico
Del Toro, decisamente energico Amalric). Uno spot per la psicanalisi
dagli effetti collaterali: se la visione incoraggia al lettino, non si
pensa necessariamente a quello dell'analista.
Gianluca Arnone su cinematografo.it
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