Rassegna stampa e web di "Un ragazzo d'oro", le recensioni sul film di Pupi Avati con Sharon Stone e Riccardo Scamarcio. Un lento "ragazzo d'oro" per un "solito" Pupi Avati e una stonata Sharone Stone.
UN RAGAZZO D'ORO
Drammatico - Italia 2014 - Di Pupi Avati con Riccardo Scamarcio, Sharon Stone, Cristiana Capotondi, Giovanna Ralli
Davide Bias (Riccardo Scamarcio), figlio di uno sceneggiatore di film di
serie B, è un creativo pubblicitario col sogno di scrivere qualcosa di
bello, di vero. Convive quotidianamente con ansia e insoddisfazione: per
tenerle a bada, solo le pillole. Neanche la fidanzata Silvia (Cristiana
Capotondi) sa come sollevarlo dalle sue insicurezze. Quando il padre
improvvisamente muore, da Milano il giovane si trasferisce a Roma dove
incontra la bellissima Ludovica (Sharon Stone), un’editrice interessata a
pubblicare un libro autobiografico che il papà di Davide aveva
intenzione di scrivere.
Padri e figli, conflitti e rivalse, rancori e rimpianti. Avati si è
confrontato altre volte con la figura paterna, ma Un ragazzo d'oro
spinge il tema all'estremo limite. Pubblicitario in crisi, scrittore
mancato, tradito dalla fidanzata (Capotondi), Davide (Scamarcio) è
convinto che tutti i suoi mali derivino dal padre, troppo impegnato a
scrivere filmacci per occuparsi del figlio. E quando di colpo il padre
muore, forse suicida, la rabbia verso quell'ingombrante dissipatore
esplode.
Fabio Ferzetti su Il Messaggero
Avati s’imbarca quasi nel metacinema con un cast che non gli risolve i
nodi: al pesce lesso Sharon Stone preferiamo le veraci rughe di Giovanni
Ralli.
Maurizio Porro su Il Corriere della sera
Ci risiamo con il tema padre/figlio tanto caro a Avati, questa volta
penalizzato da un ritmo lento e da alcune scene (la scoperta della
password del pc paterno) involontariamente comiche.
Maurizio Acerbi su Il Giornale
Con la sua penna di romanziere intimista prestato al cinema, Pupi Avati
continua a imbastire storie sul filo di un’autobiografia più adombrata
che reale. Come in Un ragazzo d’oro, centrato su un rapporto
padre-figlio che per il regista, essendo suo padre scomparso quando era
adolescente, è rimasto un «incompiuto» (...) Tuttavia, fra tanti
intonati caratteri minori (la mamma Giovanna Ralli, la fidanzatina
Cristiana Capotondi), il film soffre della presenza di una Sharon Stone
che proprio non riesce ad appartenere ad alcun modo al crepuscolare
mondo avatiano.
Alessandra Levantesi su La Stampa
Ogni anno, puntualmente, chi ama il cinema sa di poter incontrare un
film scritto e diretto da Pupi Avati e prodotto da suo fratello Antonio,
all'insegna di un'arte di raccontare le persone approfondendone le
psicologie quasi solo sfiorandole e rappresentandole poi con dei modi
lievi, pur sempre derivati dalla lezione realista, sia quando si
occupano di drammi sia se hanno in primo piano i sentimenti.
Come oggi, in questo bellissimo film che evoca, senza perdersi
nell'incontro, addirittura i meandri oscuri della pazzia.
Il piccolo/grande mondo avatiano a poco a poco emerge come in passato: un cinema quasi mai urlato mai sguaiato. Magari sul versante opposto ci sono una debolezza psicologica dei protagonisti, e la fragilità di una scrittura tanto ordinata e pulita quanto mille miglia lontana da rischi e provocazioni visive.
Massimo Giraldi su cinematografo.it
L’idea non era male, per quanto non particolarmente originale. Colpiva e
destava un certo interesse intrecciare il legame padre-figlio a campi
di sfogo creativo come il cinema e la letteratura, la capitale in rovina
e la Milano rampante dei giovani. A questi spunti non è corrisposto
tuttavia una risposta adeguata: il film sembra non avere né capo né
coda, ma prima ancora che di sostanza, i veri problemi sono di forma. La
regia è stranamente “traballante”, con scambi di inquadrature poco
comprensibili. Il montaggio talvolta frenetico non aiuta lo sguardo ad
entrare pienamente nella narrazione. I dialoghi hanno l’odore della
soap-opera, né Scamarcio né la Capotondi riescono a ispessirli di valore..
Luca Chiappini su spaziofilm.it
Nulla possono fare né Scamarcio, né Capotondi né tantomeno Giovanna Ralli. Figurarsi Sharon Stone, totalmente fuori contesto. Alle prese con una sceneggiatura così pesante, a tratti quasi parodistica, che procede per tentativi..
Antonio Maria Abate su cineblog.it
Luca Chiappini su spaziofilm.it
Nulla possono fare né Scamarcio, né Capotondi né tantomeno Giovanna Ralli. Figurarsi Sharon Stone, totalmente fuori contesto. Alle prese con una sceneggiatura così pesante, a tratti quasi parodistica, che procede per tentativi..
Antonio Maria Abate su cineblog.it
Mediocre dramma avatiano con al centro un'oscura vicenda famigliare
intrecciata con il cinema di serie b, nevrosi e inquietudini anche
sessuali. È un gran pasticcio, sia a livello di sceneggiatura (firmata
dallo stesso regista assieme al figlio Tommaso) che mette insieme troppi
elementi senza riuscire a rendere coeso il materiale sia a livello di
regia – il tallone d'Achille degli ultimi, mesti film di Avati – piatta e
televisiva, sciatta e trascurata in molti piccoli ma significativi
dettagli, dal montaggio brusco e inefficace al terribile doppiaggio di
Sharon Stone, per giunta fuori sincrono alla stessa gestione degli
interpreti, tutti sotto il livello di guardia.
Simone Fortunato su sentieridelcinema.it
Simone Fortunato su sentieridelcinema.it
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